Museo

Il museo Casa del Nespolo si trova al centro dell’antico borgo marinaro di Aci Trezza in cima a una piccola scalinata, accanto alla chiesa del paese. La struttura del museo riproduce un tipico ambiente siciliano della fine dell’Ottocento, cui si accede dal portone d’ingresso sormontato da un arco a tutto sesto in pietra lavica, oltrepassato il quale, si giunge al cortile con un albero di nespolo. Nell’immaginario verghiano questa era la casa dei Malavoglia da dove ogni mattina ‘Ntoni sfidava la propria sorte prendendo la via del mare. All’interno del museo la prima sala è dedicata al film La Terra Trema di Luchino Visconti.

La seconda sala, invece, è intitolata ai Malavoglia, dove sono esposti gli antichi arredi, gli strumenti da pesca e gli interni abitativi dei pescatori. Vi sono anche alcuni preziosi documenti come le lettere dello scrittore al fratello Pietro e un album fotografico, contenente una raccolta di immagini scattate da Giovanni Verga, che racchiude lo spirito positivista del tempo.

La seconda sala, invece, è intitolata ai Malavoglia, dove sono esposti gli antichi arredi, gli strumenti da pesca e gli interni abitativi dei pescatori. Vi sono anche alcuni preziosi documenti come le lettere dello scrittore al fratello Pietro e un album fotografico, contenente una raccolta di immagini scattate da Giovanni Verga, che racchiude lo spirito positivista del tempo.

La dimensione sociale

Il Cortile

Il cortile rappresenta il prolungamento della dimensione privata all’interno di uno spazio centrale e condiviso dal gruppo del vicinato. Diversamente dalla strada, il cortile è ancora un luogo protetto, dove i bambini e i ragazzi possono giocare liberamente sotto la vigilanza attenta di qualche vicino. Il cortile è anche il luogo “dell’occhio sociale” dove ognuno è autorizzato a svelare un po’ del proprio vissuto privato e controllare spesso quello altrui.

Le donne si dice fanno ‘u curtigghiu’ (il cortile), cioè commentano a bassa voce ciò che succede, ma anche ciò che è frutto di fantasticherie. Ai tempi dei Malavoglia, nel piccolo cortile interno della Casa del Nespolo, si coltivavano ortaggi e si animava per festeggiare una buona giornata di pesca, mentre tra gli abitanti della vecchia Trezza nascevano amori e gelosie.

L’albero di nespolo presente oggi, naturalmente non può essere quello dell’epoca dei Malavoglia: i nespoli non sono alberi secolari, tuttavia si riproducono spontaneamente e i trezzoti avevano l’abitudine di usufruire d’estate dell’ombra e della frescura delle sue foglie e d’inverno predisponevano sotto le sue fronde una tettoia per riparare dal freddo e dalla pioggia gli arnesi della pesca.

Sala La Terra Trema

Trama del film

Acitrezza è un piccolo paesino di pescatori siciliani e di grossisti del pesce.Il film racconta la storia di una famiglia di pescatori che lotta contro le angherie e i sorprusi dei grossisti del pesce, i quali , non partecipando fisicamente alla battuta di pesca, godevano di un privilegio importante: quello di non rischiare la vita in mare.

Dopo il ritorno dalla battuta di pesca, i grossisti intascavano 7 parti del pescato, mentre le rimanenti 3 parti dovevano essere distribuite fra coloro che avevano rischiato la pelle. Stanco ‘Ntoni dei sorprusi dei grossisti, convince la sua famiglia a mettersi in proprio e ad ipotecare la casa per far fronte alle spese. Ma il destino avverso porta la famiglia alla disgregazione e dopo la morte del nonno Ntoni abbandona la lotta. Il film è stato interpretato interamente dai pescatori di Acitrezza, la lingua parlata è il siciliano ed oggi è sicuramente considerato un capolavoro del Neorealismo italiano.

Le Fotografie del Film

Le quattro donne, ‘anime del purgatorio’

Il museo espone alcune immagini del film: l’inquadratura più famosa è quella delle quattro donne che sembrano ‘anime del purgatorio’, filmate da Visconti mentre aspettano sugli scogli di pietra lavica il ritorno dei loro cari dispersi nella mareggiata. E’ un chiaro omaggio a Luchino Visconti, che come Verga fa parte della storia del nostro paese, che nel 1948 viveva le difficoltà di un’Italia che aveva perso la seconda guerra mondiale: una denuncia sociale come quella che Verga aveva fatto attraverso I Malavoglia, raccontando le vicende di una famiglia di pescatori che viveva i disagi e i problemi di un’Italia che si era appena unita.

Le cime

Le cime sono le corde delle barche e si realizzavano riutilizzando le reti in disuso. Il pescatore non buttava via nulla e ogni oggetto poteva essere riciclato con un’altra finalità. Nel caso delle corde, il pescatore legava in un macchinario tre capi di rete nella parte posteriore dello strumento e un capo nella parte anteriore. Il funzionamento della macchina per fare le corde era semplice. Una manovella veniva girata in senso orario mentre l’altra in senso antiorario, così da permettere alle reti di aggrovigliarsi in un unico cordone molto resistente. Il funzionamento delle manovelle era molto faticoso perché la velocità d’esecuzione doveva essere costante e i tempi sincronizzati.

La stanza dei Malavoglia

Ricostruzione di un ambiente interno

Nel museo è stato ricostruito l’angolo domestico di una tipica famiglia di pescatori: un letto, una piccola sedia, un comò, una mensola e una conca compongono il mosaico dell’ambiente interno. In realtà, l’uso del materasso era indice di appartenenza a un ceto benestante: solo i grossisti del pesce lo possedevano, la gente umile e i poveri pescatori invece dormivano solo su trespoli e tavole. Le famiglie abitavano quasi tutte in un unico stanzone, al centro del quale era posta la conca, che oltre a riscaldare l’ambiente e i cibi, serviva come luogo attorno a cui le donne, ogni pomeriggio intorno alle sei, consumavano il rito della recita del rosario.

Le reti

Le reti erano di diverso tipo a seconda del pesce che doveva essere pescato. La rete per pescare il pesce azzurro è quella utilizzata maggiormente dai pescatori di Aci Trezza, dal momento che questo tipo di pesce popola copiosamente il mare della riviera dei ciclopi e comprende diverse varietà, come la sarda, l’acciuga, lo sgombro, l’aguglia e il tonno. La rete ha anche una valenza simbolica: assieme alla barca, essa rappresenta la sfida al fato che governa i ritmi di vita dei pescatori durante le loro spedizioni in mare aperto. Ad Aci Trezza si dice che ogni famiglia di pescatori ha un morto in mare. Per questo la descrizione del naufragio della Provvidenza, dove perse la vita Bastianazzo, è il momento più tragico e autentico del romanzo verghiano.

Le nasse

Le nasse sono delle trappole a forma di gabbia costruite con le canne. Esse vengono calate in fondo al mare per mezzo di pesi con un’esca per attirare il pesce. Una volta che il pesce entra dentro la nassa, rimane intrappolato e non riesce più a fuggire. Proprio per questo motivo il foro d’ingresso, a forma d’imbuto, è lavorato a mano e con molta cura per evitare che i pesci possano scivolare tra i rami delle canne e scappare. Le nasse erano utilizzate da piccoli pescherecci: ai tempi dei Malavoglia era una pesca molto faticosa e non arricchiva chi la praticava, ma bastava al semplice sostentamento familiare.

La cucitura

Le reti a tratta, o sciabiche, erano a tre maglie, grandi, medie e piccole. Lunghe mediamente 350 metri, erano estremamente robuste e durature. Le donne cucivano e intrecciavano a mano le reti, complete di piombatura e galleggianti, mentre gli uomini le ricomponevano dopo eventuali strappi o danneggiamenti. Gli strumenti utilizzati per cucire le reti erano una semplice augghia (aghi), una spoletta e tanta pazienza. Gli aghi erano di diverse dimensioni, secondo il tipo di maglie delle reti e realizzati con materiali naturali come la canna, il legno oppure l’osso del pesce spada.

La colorazione delle reti

Le reti erano fatte di cotone o di canapa e il colore naturale di questo materiale era il bianco. Ciò non agevolava la pesca perché le reti bianche sui fondali creavano un effetto molto luminoso che faceva scappare i pesci. Per questo motivo le reti erano colorate e rese più scure, fino a mimetizzarle con l’ambiente marino. Per raggiungere questo effetto si preparava una poltiglia ricavata dalla corteccia del pino marittimo, il quale era dapprima pestata e in seguito setacciata fino a ricavare una polvere color rossiccio scuro, chiamata “ zappino” Poi veniva fatta bollire l’acqua all’interno di una cuarara (pentolone) e vi si gettava la rete con il colorante. Infine, la rete colorata veniva interamente distesa a terra e fatta asciugare al sole.

La granita del ‘Cafè Procope’

Aci Trezza è anche luogo di gustosissime granite. Anticamente, un contenitore di piombo veniva riempito con la neve dell’Etna e per mantenere la consistenza della neve veniva rivestito di foglie di felce e sale, oppure juta e sale, per tutto il viaggio. Poi si faceva una miscela di neve, zucchero e sale e da questa facile ricetta nasceva la granita, anticamente detta a nivi cunsata (la neve condita). La tradizione popolare narra le vicende di un ‘trezzoto’ di nome Procopio de’ Coltelli, che raggiunse la corte di Re Sole, Luigi XIV, con la ricetta in tasca per mettere a punto un sorbetto al gusto di limone. La ricetta ebbe successo a tal punto da convincere il Re Sole a concedergli un luogo dove far assaggiare questa prelibatezza. Così Procopio fondò il Cafè Procope, che diventerà ritrovo ideale di illuministi di grande fama. Si trova ancora a Parigi in Rue de l’Ancienne Comédie, nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés. La vera patria della granita più famosa in tutto il mondo, sarebbe quindi l’incantevole Aci Trezza.

Le lettere private di Verga

Si tratta di una vera e propria testimonianza legata alla vita privata di Giovanni Verga, svelata dalla raccolta di alcune lettere inviate al fratello Pietro. Si tratta di confidenze e raccomandazioni, riflessioni dello scrittore su argomenti e problemi di vita quotidiana. E un’occasione unica per poter conoscere un Verga uomo, con tutti i vizi e le virtù di un proprietario terriero, di un uomo preciso e meticoloso , attaccato verosimilmente alla “ roba”, che era il patrimonio che gli aveva lasciato il padre. Da questi inediti documenti, permeati dall’acume di riflessioni realistiche e spesso amare sulla storia e sulla società del tempo, prende forma e si fonde anche il più intimo universo affettivo e sentimentale dello scrittore.

CONCLUSIONE

Visitare la Casa del Nespolo significa tuffarsi nel passato, rievocando attraverso la descrizione di oggetti d’epoca presenti nelle stanze, la quotidianità di una come di tante famiglie di pescatori; osservando e toccando ciò che ci colpisce di più, si riesce ad immaginare attraverso le sensazioni che si provano all’interno del Museo lo sguardo di Bastianazzo o di Padron’ntoni verso quell’arco a tutto sesto che faceva da cornice alla loro casa, era l’immagine che imprimevano ogni volta che andavano a pescare sperando sempre di ritornare e di vivere quella semplice vita che però poteva sparire in un attimo tra le onde del mare bello e traditore. E allora oggi visitare il Museo Casa del Nespolo, non vuol dire, entrare e sperare di trovare gli oggetti de I Malavoglia, vuol dire riportare alla memoria quelli che sono stati gli usi e i costumi legati al nostro passato e al nostro territorio, avendo però a nostra disposizione il genio e l’animo di un visitatore d’eccezione, quale è stato Giovanni Verga.